Limonov: «Il potere di Putin è assolutista e senza alternative»
Intervista a Eduard Limonov:
«Oggi se sei contro il Cremlino sei represso. Nonostante questo stiamo meglio di prima».
«Il Partito Comunista della Federazione Russa di Zjuganov o i socialdemocratici di Mironov, non possono essere considerati per un solo istante opposizione»
Incontriamo Eduard Limonov, l’intellettuale, il militante conosciuto in tutto il mondo, in una piovigginosa giornata primaverile a Mosca. È impegnato in un comizio di fronte al monumento che ricorda la rivoluzione del 1905.
- Eduard Veniaminovic, secondo lei, come ha risposto Putin alla crisi economica russa iniziata nel 2011?
- Parliamo di crisi a partire da quali indicatori? Esiste forse una regola per definire se oggi c’è la crisi o meno? Se lo valutiamo a partire dalla vita quotidiana dei russi, allora per quanto ricordi non si è mai vissuto così bene in Russia, meglio sia rispetto al periodo sovietico sia agli anni ’90. Quindi lei è giunto alla conclusione che da noi ci sia la crisi… Forse sulla base di indicatori occidentali? È vero, rispetto a quegli indicatori viviamo peggio che nel 2011, ma questo non ci preoccupa.
Il potere in Russia, il putinismo, oggi è meno peggio di prima, anche se gelosamente non intende avere concorrenti politici. Ma il potere oggi in Russia non veste panni criminali. Non ha motivi di vergognarsi di orribili crimini. Dal momento che non vedo crisi non posso avere proposte per affrontare ciò che non esiste. Non credo che ci sia una competizione internazionale in cui la Russia dovrebbe arrivare prima. Le nazioni non si devono annientarsi nella concorrenza, ma vivere secondo i loro mezzi. Tanto più che la natura e il pianeta si stanno esaurendo, a causa degli appetiti insaziabili dell’umanità.
- Pensa che dopo le ultime sanzioni dell’Ucraina contro la Russia, sia possibile una guerra tra paesi slavi?
- I governanti di Kiev stanno cercando di bruciare tutti i ponti alle loro spalle. E in tal caso difficilmente la Russia potrà trattenersi dalla guerra. Se la guerra fosse tra Russia e Ucraina, indubitabilmente, Poroshenko non avrà scampo. Ma c’è il rischio che a Kiev voglia coinvolgere la Nato e gli Usa, e in tal caso sarebbe guerra mondiale. Ma credo non succederà, il governo ucraino non è folle.
- Mi può parlare dell’attività dell’Interbrigady (le brigate russe organizzate dal Partito Nazional-Bolscevico per combattere in Donbass a fianco delle Repubbliche Popolari n.d.r.)?
- Nelle Repubbliche Popolari del Donbass combatte un battaglione comandato dal nazionalbolscevico Sergej Fomcenkov, mentre commissario è il nazionalboscevico Zachar Prilepin, tra l’altro scrittore talentuoso. Tuttavia questo battaglione è un movimento non strettamente di partito, si tratta di «Interbrigady», un movimento russo di volontari «largo».
- Cosa pensa degli Accordi di Minsk sottoscritti da Russia, Ucraina e Unione Europea?
- Personalmente ritengo che la guerra nel Donbass sia stata mutilata dagli Accordi di Minsk, con il sostegno ovviamente della Russia. La rivoluzione russa nel Donbass è finita e ora il nostro battaglione è al servizio delle Repubbliche Popolari o più precisamente del loro leader Zacharchenko. Zacharcenko non ha nessuna autonomia, ora il nostro battaglione dovrebbe essere utilizzato in qualche provincia russa. Non è per questo che il nostro partito ha lottato. Ma noi amiamo comunque i nostri compagni.
- Lei pensa che la Russia sia un paese democratico?
- Le rispondo in due parole: la Russia non soddisfa nessun requisito democratico, il potere di Putin è assolutista e senza alternative.
- Il vostro partito è represso?
- La repressione è evidente nei nostri confronti. Abbiamo dei compagni del nostro partito che sono in galera. Il nostro compagno Staroverov, per esempio, per aver non rispettato le condizioni della libertà provvisoria, è stato mandato in un campo di lavoro per tre anni. E questo è solo un esempio. Allo stesso tempo, il signor Aleksey Navalny, capo della cosiddetta opposizione liberale moscovita, pur non avendo rispettato le stesse condizioni più e più volte, circola liberamente.
- Ritiene sia possibile un «fronte unico» democratico con i partiti di opposizione alla alla Duma, i liberali o i gruppi di estrema sinistra anarchici o trotskisti?
- Per quanto riguarda i partiti in parlamento come i liberaldemocratici di Zirinovskij, il Partito Comunista della Federazione Russa di Zjuganov o i «socialdemocratici» di Mironov, non possono essere considerati per un solo istante opposizione: si tratta di complici del potere. Le opposizioni in Russia, quando non sono represse, conducono un’esistenza miserabile. I liberali? Ci sono quelli al potere come Anton Siluanov, German Gref Elvira Nabiullina, Aleksey Kudrin… e quindi secondo lei con chi mai sarebbe possibile fare un «fronte unico»?
La sinistra è costretta ai margini e sopravvive, mentre i liberali tipo Navalny o Kasparov ci hanno tradito almeno due volte. L’ultima volta nel dicembre 2011 quando separarono i loro manifestanti da quelli più radicali all’Isola Bolotnaya (Limonov fa riferimento agli scontri tra giovani dell’opposizione e polizia che in seguito portarono all’arresto e alla condanna ad alcuni anni di reclusione dei dirigenti della manifestazione tra cui militanti di sinistra e nazionalbolscevichi ndr). Costoro sono nostri nemici, ancor di più del governo. Almeno Putin ha riunificato la Crimea alla Russia.
- Putin, negli ultimi anni, in Europa ha stretto alleanze con forze di estrema destra sovranista come Marine Le Pen del Front National in Francia, Matteo Salvini della Lega Nord in Italia. Pensa sia possibile un confronto anche con forze di sinistra come Podemos in Spagna o il Front de Gauche in Francia che sono comunque all’opposizione della politica imperiale dell’Unione europea?
- Putin durante la conferenza stampa seguita all’incontro con Macron a Versailles, ha affermato che Marine Le Pen è volata qui a Mosca e ci ha detto cose che a noi russi, e al nostro Stato, sono piaciute. In termini di sanzioni e non solo. Le abbiamo recepite bene. Macron non è venuto qui da noi, non ci ha detto nulla, lo avremmo accolto comunque. Le elezioni le ha vinte lui ed è diventato presidente. Bene, nulla da ridire. Secondo me il fatto che la Russia non si intrometta negli affari di altri paesi, non è cosa buona. Noi russi dobbiamo intrometterci negli affari di altri Stati e sostenere le forze di chi non è contro di noi. In Russia, in Lituania, in Francia e anche in Italia.
- Cosa pensa della questione degli omosessuali e più in generale Lgbt?
- I gay e le lesbiche cercano di appoggiarsi alla sinistra russa e internazionale per provare a cambiare la mentalità del nostro popolo. Tuttavia questo non piace al nostro popolo e neppure a tanti della sinistra russa. Se i gay e le lesbiche russi non esigessero che li si amasse e li si accettasse nel mondo politico tutto andrebbe bene, tutto sarebbe ok. Il popolo russo non intende discriminarli o condizionare la loro vita privata. Il problema dei gay e delle lesbiche in Russia è che vogliono partecipare alla vita sociale in qualità di forza politica e morale. Da questo punto di vista, il nostro popolo non li accetterà in quanto tali nei secoli dei secoli. Noi siamo un popolo «macho». Per questo il popolo si opporrà all’imposizione di altre norme di vita sociale.
- Alcuni filosofi russi come Nikolaj Berdajev si sono dilungati sull’«anima russa». Esiste «l’anima russa» o è semplicemente uno spazio geopolitico?
- Anima? Anima russa? Di solito non uso questa terminologia. I russi hanno coltivato dentro sé un’«anima», sicuramente più di altri popoli. Inevitabilmente, per alcune circostanze, hanno dovuto svilupparla molto di più di altri. Gli slavi, in generale, hanno un interesse particolare per il misticismo e la contemplazione. Tutto ciò a volte non ci ha favorito nella storia. Ma per non perdere di vista il mondo reale, ci siamo radicati nel mondo scandinavo e tedesco.
- Quest’anno è l’anniversario della rivoluzione russa del 1917. Molti ne parleranno, ma rivoluzione leninista resta ancora attuale?
- La rivoluzione russa del 1917 è stata la prima rivoluzione nel mondo dei lavoratori. Il mondo ha iniziato a immaginarsi diversamente dopo: la Cina ha assunto un infinito colore rosso. La rivoluzione russa la fecero Lenin e Trotsky e Stalin ebbe allora il merito di non interferirvi.
IL MANIFESTO - 10/6/2017
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2005
"Lo scrittore migliore è il pensatore"
Dialogo con Eduard Limonov su letteratura e politica.
A cura di Marco Dinelli
eSamizdat 2005 (III) 2-3, pp. 193-198
— Finalmente le sue opere cominciano ad apparire anche in traduzione italiana: nel 2004 sono usciti Dnevnik neudacnika [Diario di un fallito, traduzione di M. Sorina], Kniga vody [Libro dell'acqua, traduzione di M. Cammini] e, nel 2005, Podrostok Savenko [Eddy-baby ti amo, traduzione di M. Falcucci]. La casa editrice Salani ha già acquistato i diritti per Torzestvo metafìziki [Il trionfo della metafisica], è vero?
— Sì, siamo in attesa di ricevere
il contratto e i soldi, ma penso che ormai sia deciso.
— Al di là della sua opera, su riviste e giornali italiani scrivono spesso di lei scrittori e slavisti.
Quali sono, secondo lei, le ragioni di questo rinnovato interesse in Italia per la sua opera e per la sua persona?
— Credo che sia soprattutto a causa della mia attività
politica e di una certa attenzione che viene rivolta al partito nazional-bolscevico di cui io sono a capo.
— Perciò è un interesse legato alla politica…
— Per me è difficile giudicare, ma questa è la mia opinione.
— Tranne rari casi, l'immagine
proposta da chi si occupa in Italia di Limonov è fortemente connotata in senso scandalistico. Il discorso su Limonov, più che un'analisi dell'opera dello scrittore e del contesto in cui tale opera andrebbe collocata, si trasforma quindi in una
serie di accuse in perfetto stile politically correct: a parte un'ipertrofia dell'ego (peraltro non ho conosciuto scrittore che sia indenne da questo peccato), si parla di "violenza", fascismo", "pedofilia". Leggendo questi giudizi, mi e venuto in mente
l'aforisma di Oscar Wilde: "Al mondo c'è soltanto una cosa che è peggio dell'essere chiacchierati: il non esserlo". Mi sembra che questo si adatti bene a lei, che ha fatto della sua vita un'opera d'arte. Lei la pensa come Wilde?
— No, io ho vissuto e ho compiuto determinate azioni, azioni piuttosto risolute, e dai primi anni dell'infanzia e della giovinezza sono sempre stato una persona abbastanza decisa, una persona di carattere…
in base ai ricordi degli altri , una persona, se me lo permette, brillante e ricca di talento. Penso quindi di meritare l'attenzione che mi viene rivolta in Russia e che, a suo tempo, mi veniva rivolta in Francia, e che spero adesso mi verrà rivolta
in Italia.
L'atteggiamento che la gente ha nei miei confronti può essere paragonato a quello verso Pasolini. Ho letto molti bei libri in francese su Pasolini e conosco molto bene la sua opera. Secondo me è possibile, con una lieve forzatura, paragonare la mia vita a quella di Pasolini : un uomo-scandalo, una persona di grande talento che veniva accusata continuamente di tutti i peccati possibili, non importa se fossero veri o falsi.
Io non ho intenzione di difendermi da alcuna accusa, secondo il mio metro di giudizio sono una persona assolutamente sana e normale, piuttosto coraggiosa, che ha compiuto delle azioni e che per questo è finito in prigione, e ha partecipato a varie guerre. Perciò oggi la mia carriera politica di leader di un partito estremista è inconsueta agli occhi dell'Europa del XXI secolo, ma anche la Russia è un paese inconsueto, e se mi accusano di violenza, allora anch'io posso allo stesso modo rimproverare il potere russo della violenza che viene esercitata nei miei confronti.
Il potere russo è un potere autoritario, zarista, un potere ottocentesco, che intenzionalmente, senza addurre argomentazioni, non permette al partito nazional-bolscevico di entrare nella grande politica. Se ne potrebbe parlare a lungo, ma senza dubbio io non sono un fascista. I fascisti hanno cessato di esistere nel 1945 e da allora sono sorti nuovi fenomeni nel mondo politico, sia in Italia che in Russia, sono nate nuove formazioni politiche.
Accusarmi di pedofilia è ancora più stupido, non riesco a capire bene su quali basi. Comunque mi fa piacere l'attenzione dei critici, degli editori e, spero, dei lettori italiani, e se vorranno leggermi anche in futuro, che mi chiamino pure come desiderano, l'importante è che mi leggano, è l'unica cosa che mi serve da parte loro.
Io penso, più di chiunque altro scrittore russo di oggi, di meritare l'attenzione del pubblico europeo, perché sono uno scrittore comprensibile agli europei, sotto tutti gli aspetti, anche se loro mi comprendono in modo non del tutto esatto, anche nella stessa Italia, ma va bene anche così.
— Un fenomeno piuttosto diffuso che risulta piuttosto diffìcile da spiegare è il rispetto per la sua figura di scrittore che ho trovato, qui a Mosca, anche in persone
appartenenti a ceti bassi, chiamiamoli "popolari". Fin dai tempi di Eto ja, Edicka [Sono io, Edicka], la sua scrittura è contraddistinta da una franchezza, sia nei temi che nel linguaggio, che potrebbe disturbare la sensibilità puritana
di chi si è formato in epoca sovietica. Ma forse, paradossalmente, questa ammirazione è suscitata proprio dall'elemento "sincerità" (o almeno dall'effetto di "sincerità" che la sua scrittura produce sul lettore). Che cosa ne pensai
— Be', conquistarmi il rispetto della gente in Russia non è stato facile, ci ho messo una decina d'anni. Come accade di solito, ogni fenomeno nuovo all'inizio viene deriso. Anche
i miei primi tentativi di fare politica sono stati accolti così, il mio partito non è stato preso sul serio finché non ha dato prova di spirito di sacrificio e di coraggio, finché non ha dimostrato di essere un partito assolutamente
nuovo dal punto di vista politico (non può essere definito né di destra né di sinistra).
E ora che in Russia non è più possibile praticare una politica parlamentare, ci sono sempre più partiti politici che guardano con interesse al nostro partito, assumono la sua tattica, imparano da noi. E il fatto che abbiamo 49 prigionieri politici, e sto parlando di un dato concreto, che sono rinchiusi nelle prigioni e nei campi di lavoro russi, anche questo ci fa ottenere il rispetto della gente. Intendo cioè il fatto che noi siamo la prima organizzazione politica in Russia che non si limita alle chiacchiere, ma fa delle cose concrete. Noi abbiamo protestato contro il furto ai danni della popolazione nell'agosto dell'anno scorso…
— La questione delle pensioni?
— Sì, i nostri ragazzi hanno occupato in modo pacifico il ministero della sanità, compreso l'ufficio di Zurabov, e c'è una famosa foto in cui il ritratto di Putin vola dalla finestra dell'ufficio, scattata
per miracolo dai fotografi della stampa, e per questo hanno dato a ognuno cinque anni di carcere. Ecco perché ci rispettano.
Ora si sta svolgendo nel tribunale Tverskoj un processo a trentanove nostri compagni, e anche per questo ci rispettano, perché si tratta di giovani coraggiosi e disperati, giovani intellettuali, come nell'Ottocento (lei certamente ricorderà i populisti che, nell'Ottocento, erano contro lo zarismo), che si sono presentati nell'anticamera dello studio del presidente e hanno espresso la loro opinione sul presidente, l'hanno invitato a dimettersi e hanno elencato i motivi della loro richiesta.
Ed ecco che per questa azione non violenta e, lo sottolineo, pacifica, vengono illegalmente processati per disordini pubblici, stanno già da dieci mesi in prigione e rischiano di restarci. Perciò il rispetto ce lo siamo guadagnato a duro prezzo.
— Io non intendevo solo questo, avevo in mente anche quella gente che non si interessa di politica, i tassisti per esempio. Io ho l'occasione di parlare con persone diverse, dicono che
non capiscono niente di politica oppure che non sono d'accordo con le sue idee, ma affermano che Limonov è un grande scrittore, la sua è grande letteratura, ha scritto grandi romanzi. Mi è sembrato strano, perché nella mia esperienza
ci sono molte persone che ancora oggi sono turbate dal turpiloquio o da alcuni temi scabrosi. C'è un certo puritanesimo nell'educazione sovietica che sopravvive fino a oggi, e nonostante questo la sua figura di scrittore suscita ammirazione.
— Evidentemente sono riuscito a convincere la gente, le persone hanno capito che sono uno scrittore, certo di tipo non tradizionale, ma per loro io sono comunque uno scrittore serio,
che parla di cose serie, della vita, della morte, della prigione, in fin dei conti anche dell'amore, ma seriamente. Non è roba inventata.
Non scrivo nello stile di una prosa ornamentale, o del postmodernismo, lo si chiami come si vuole, io non sono uno scrittore alla moda. Ed è questo ciò che la gente è abituata a considerare letteratura, letteratura legata alla vita, che parla della vita. Evidentemente la gente semplice la pensa così. E poi penso che anche la mia biografia abbia il suo peso, perché la gente vede che l'autore scrive come vive, e questo evidentemente suscita un senso di rispetto.
— Un suo racconto, Quando i poeti erano giovani [Kogda poety byli molodymi], compare anche in una recente antologia di racconti russi del '900 a cura di Vladimir Sorokin. Sorokin sostiene che il '900, per la letteratura
russa, è stato caratterizzato della prepotente entrata nella scrittura della corporeità. Il suo contributo, in questo senso, è stato fondamentale. Qual è secondo lei il rapporto fra letteratura e corporeità?
— Io sono lontano da disquisizioni teoriche, anche se ho scritto e continuo a scrivere vari saggi, a mio parere abbastanza arguti, sui temi più disparati. Saggi sulla carne, per
esempio, sulle unghie, e cosi via, in cui propongo uno sguardo settecentesco, uno sguardo inedito su cose assolutamente semplici, sui tipi di soldi, per esempio. Con questa corporeità penso di esserci nato, e di non averla attinta dalla letteratura,
è una cosa che mi è sempre riuscita facile e automatica, non posso immaginarmi in modo diverso, ho provato sempre avversione per le astrazioni… anche Dio, è sempre vicino, da qualche parte, in carcere, per esempio… anche
l'eternità era sempre vicina, io contavo i mattoni del muro, e questo forse era dio, o qualcosa del genere.
La prigione era molto bella, specialmente quando stavo nel carcere di Lefortovo e la sera mi riportavano in cella, prendevo atto di questa bellezza e le mie sofferenze per un po' si attenuavano, e tutto questo è corporeità, io rimiravo il pavimento, i mobili, e mi sembravano mobili di Philip Stark. Evidentemente tutto questo è corporeità. Certo, ognuno comprende queste cose in base al proprio grado di educazione e istruzione. Io le afferro al volo, in modo assolutamente intuitivo.
— Lei
ha abbandonato la fiction, la letteratura in senso stretto, è vero?
— In senso stretto, sì, ho abbandonato quel tipo di letteratura in cui si inventano
dei personaggi, io ho cominciato gradualmente a usare me stesso come personaggio delle mie opere, all'inizio timidamente e poi in modo sempre più disinvolto, e infine ho rinunciato a questo intermediario fra me e il lettore. I miei ultimi libri appartengono
cioè al genere memorialistico o saggistico, sono tutti diretti, non c'è più alcun intermediario.
— E questo è legato al
fatto che la complessita del mondo contemporaneo, e di quello russo in particolare, possa essere restituita solo attraverso l'autobiografìa o una sorta di saggistica autobiografica, per così dire?
— Sì, io penso che i personaggi inventati abbiano sempre irritato il lettore. Il romanzo come genere letterario appartiene all'epoca dell'ascesa della borghesia al potere, i primi romanzi sono
quelli di Balzac in Francia, Dickens in Inghilterra, sono opere di genere coscientemente romanzesco, e questa tradizione non è durata a lungo. Adesso, a mio parere, questo genere letterario sta morendo. Anche in passato si è parlato della morte
del romanzo, pure Dostoevskij ne ha parlato, ma evidentemente questi erano solo presentimenti, del resto assolutamente fondati, che il romanzo alla fine sarebbe morto.
Oggi a mio parere è assolutamente impossibile usare un intermediario sotto forma di personaggi inventati, assurdi, però questo non significa che non saranno usati a livelli più bassi, per dire, che gli autori di gialli non lavoreranno con questo genere. Lo faranno, ancora per cento, per duecento anni. Che lo facciano pure, non so che dire. Solo che per me non è una cosa interessante.
Tuttavia la letteratura alta è pensiero, e la bellezza di un libro, di questo mattone di pagine di carta, è che resta il mezzo migliore per trasmettere i pensieri alle altre persone, finora non sono stati trovati metodi migliori, nessuna conquista dell'era del dopo Gutenberg ha saputo fare meglio. Certo, si sono allargati gli orizzonti. I libri sono stati ripuliti di inutili descrizioni di paesaggi, molto hanno fatto la fotografia, il cinema e la televisione. Ma nonostante tutto il pensiero, finora, e ancora per molti anni, io spero per sempre, verrà trasmesso in questo modo, attraverso i libri.
Lo scrittore migliore è il pensatore, e io negli ultimi quindici anni mi colloco in questa categoria, e spero di fare ancora molte cose come pensatore.
— Ci sono scrittori contemporanei, russi e non, che, al di là delle differenze con la sua visione del mondo, lei legge con interesse?
— No, io non leggo, e non lo dico per superbia. Forse dipende dal fatto che semplicemente non conosco tutti gli scrittori, ho poco tempo per la letteratura, per la lettura, ma quando ho tempo preferisco
leggere libri che parlano di fatti, anche quando ero in prigione leggevo libri della collana "Vita di Uomini Eccezionali". Questi libri, anche se scritti male, sono libri su persone reali, anche quelli che erano scritti male per me erano più interessanti,
e come pensatore mi hanno dato di più, di quanto possa darmi una pila di romanzi.
— Dopo la fine del cosiddetto postmodernismo russo, che a suo
modo ha tentato di demistificare le mitologie del recente passato, in ambito culturale si nota un certo desiderio di tornare a valori stabili. E siccome creare nuove mitologie è diffìcile, spesso si finisce per estetizzare proprio quel passato
che in precedenza era stato messo in discussione. In particolare è molto forte la tendenza, anche in ambito sociale e politico, di una sensibile nostalgia per l'Urss, vissuta però in modo piuttosto superficiale: l'Urss è diventata un brand,
un marchio famoso che fa vendere qualsiasi prodotto culturale. Di questo fenomeno io noto principalmente l'aspetto regressivo, la ricerca nel passato di un paradiso perduto che in realtà non c'è mai stato: un modo insomma per non affrontare la
problematicità del presente. Qual è la sua opinione al riguardo?
— Io ritengo di scegliere l'oggetto della mia riflessione di scrittore,
l'oggetto di un libro, in base ad altri criteri, criteri, diciamo, estetici. Già agli inizi degli anni '80 ho scritto la trilogia U nas byla velikaja epocha [Abbiamo avuto una grande epoca], Podrostok Savenko [L'adolescente
Savenko, in Italia tradotto come Eddy-baby ti amo] e Molodoj negodjaj [Un giovane farabutto], il primo sull'epoca del dopoguerra, il secondo su quella chrusceviana, e il terzo sulla metà degli anni '60.
Avevo scelto queste epoche non perché riguardassero i tempi sovietici, infatti a quel tempo l'Unione sovietica era ancora viva, ma mi ero proposto un compito di tutt'altra specie: volevo in qualche modo fissarla nella memoria, fotografare e fermare l'attimo. La vita del dopoguerra, mio padre e mia madre giovani, io che ero un bambino, e poi, più tardi, un adolescente, un giovane.
In me c'era la smania di misurarmi con i classici romanzi di formazione. E l'ho fatto, l'ho fatto con sincerità, e a mio parere ne sono venuti fuori dei libri abbastanza brillanti. Completamente al di fuori di questo contesto, perché allora non c'era ancora la nostalgia per l'Unione sovietica, l'Unione sovietica era viva e vegeta…
il romanzo che mi piace di più è quello più breve, Abbiamo avuto una grande epoca, è venuto fuori un romanzo originale, bello, per certi versi ricorda alcuni film di Fassbinder, un romanzo sul dopoguerra, sulle belle spalline dei soldati, in questo romanzo c'è un po' di tutto… non ci sono le tenebre, è smagliante come una scatolina laccata di Palech: i soldati, alti e belli, la musica, perfino i funerali sono belli, è tutto molto affascinante, e io stesso mi sono stupito di come il mio sguardo infantile sia riuscito a fotografare l'immagine di una grande epoca.
E stata veramente una grande vittoria quella del 1945, forse per l'Italia è stata una sconfitta e a essa sono legati altri sentimenti, ma in Russia è stato cosi. Però anche nell'affrontare questo tema non c'è il desiderio di mostrare la verità storica, ma solamente la percezione soggettiva dell'artista. Io sono soddisfatto del risultato di questi libri, anche se ora, come lei sa, non scrivo più cose del genere.
— Sì, però qual è il suo giudizio su quello che sta accadendo adesso?
— Vede, io giudico secondo le categorie cattivo-buono, oppure molto buono, geniale. Seguo poco la letteratura russa, come ho già detto, il mio tempo è occupato dalla politica
e dalla lotta contro il Cremlino. E il Cremlino lotta contro di noi. Ci picchia. Ci reprime, ci mette in prigione, si sono tutti infervorati in questa attività, anche noi. Perciò manca il tempo per la letteratura.
— Ma non si tratta solo di letteratura, basta accendere il televisore per vedere quest'immagine…
— Tutto questo è osceno e volgare, non mi piacciono i film sulla Grande guerra patriottica in cui attori contemporanei dall'aspetto pasciuto interpretano falsamente l'amarezza della Seconda guerra mondiale, che, dopotutto, è stata
una grande tragedia, e mi fa schifo vedere questi attori ben pasciuti, mi fa schifo vedere le feste organizzate dal nostro presidente, a mio parere disgustose, perché oggi non esistono vittorie e si celebrano con opulenza, oscenamente, le vittorie del
passato.
Io sono una persona sensibile a queste cose, tutto questo per me è estremamente irritante e ritengo… sì, io defìnerei queste persone i disertori di una grande epoca, che si appropriano indebitamente delle vittorie altrui. Anche queste tendenze mi fanno schifo. Solo una persona ricca di talento può mettersi a fare queste cose senza insudiciarle, senza rovinarle. Mio padre era bianco come un cencio durante la guerra, e infatti proprio così appare in una fotografia, e oggi rappresentare lui e i suoi amici, e quella strage, è impossibile.
— Mi
hanno raccontato di una domanda che è stata posta recentemente ad Aleksej Venediktov, il direttore della radio privata Echo Moskvy, sulla libertà di espressione nella Russia di oggi. La domanda suonava piti o meno così: lei parla sempre
di mancanza di libertà, di democrazia, però il suo lavoro glielo lasciano fare. E lui avrebbe risposto: sì, me lo lasciano fare, così a chi li accusa di non essere democratici, possono rispondere: "vedete, se c'è Venediktov,
vuol dire che in Russia c'è la democrazia". Secondo lei è così che si può spiegare il fatto che in Russia un certo tipo di letteratura, come quella che scrive lei, nonostante possa risultare scomoda al potere, continua a essere
pubblicata?
— Penso di no, nel mio caso non è così, di tanto in tanto fanno pressione su alcune case editrici che interrompono la pubblicazione
dei miei libri. Ci sono diversi esempi. La casa editrice Jauza a cui, con una telefonata, hanno proibito di pubblicare le mie opere, e Ultrakul'tura, che ha rifiutato alcuni miei libri. C'è un mio libro, una raccolta di lezioni intitolata Drugaja
Rossija [Un'altra Russia], che, nonostante vada a ruba, è stato già rifiutato dalla seconda casa editrice. Prima è stato pubblicato, poi, quando hanno iniziato a ristampare la prima edizione, dall'amministrazione presidenziale
è giunta una telefonata che ha bloccato tutto.
In Russia abbiamo un secondo governo segreto, l'amministrazione presidenziale, che ha il controllo su tutto. Per fare un esempio, recentemente sono stati realizzati, su commissione, tre grandi film per la televisione contro il partito nazional-bolscevico. Due sono stati già trasmessi, uno su Tvc e l'altro sul canale Rossija. Sono film su commissione, che mostrano che noi siamo dei mascalzoni, dei fascisti, film totalmente falsi. E stato realizzato pure un film per il canale NTV, ma prima che andasse in onda è stato visionato da Vladimir Surkov, il primo vicepresidente dell'amministrazione presidenziale, che non ne è rimasto contento, e ora lo stanno girando di nuovo. Queste sono le norme dello stato poliziesco attuale, uno stato che sta assumendo in parte le caratteristiche di un classico fascismo di stato, ma solo in parte, almeno per ora.
In Russia si conservano ancora alcune libertà politiche, la spiegazione più diffusa è che siccome i nostri dirigenti politici attuali hanno conti in banche estere, e in caso di emergenza sarebbero costretti a fuggire in occidente, nonostante tutto continuano a osservare alcune norme pseudodemocratiche.
Noi abbiamo una prigione come Lefortovo, dove io sono stato rinchiuso, in cui è occupato solo un terzo delle celle, il resto delle celle sono vuote (ricordo ai lettori italiani che Lefortovo è il carcere dei servizi speciali di sicurezza). Perciò da noi ci sono ancora segni non dico di libertà, ma diciamo, per esempio, di un'editoria normale, oppure ci sono dei giornali che non sono ancora stati soppressi, ma di questi esempi se ne trovano sempre di meno.
— E per finire: ricordo che nell'intervista
che ha rilasciato alla scrittrice italiana Camilla Baresani per il Sole 24 ore ["Penna e Kalashnikov", Domenica del Sole 24 ore, 14.12.2003, p. 30] lei ha raccontato che, durante le sua permanenza a Roma, ha seguito alcune lezioni di Angelo Maria Ripellino.
Cosa ricorda di quella esperienza?
— Ricordo che lui sì mostrò benevolo nei miei confronti, nel senso che io ero ancora un perfetto sconosciuto,
un ragazzo, e gli avevo portato un libro tradotto in inglese che si intitolava Moj nacional'nyj geroj [Il mio eroe nazionale], un libro scritto in uno stile ispirato alla pop-art, sul magnifico futuro che attendeva me e la mia moglie di
allora, un libro pieno di esaltazione, a mio parere abbastanza curioso, interessante, neanche ora lo rinnego del tutto, sebbene non l'abbia fatto ripubblicare da molto tempo. E lui fu l'unico ad apprezzarlo, lì non avevo altri conoscenti che si occupassero
di letteratura, lui, se ricordo bene, era uno studioso di Majakovskij…
— Sì, ma non solo…
— Sì, e lui in quell'occasione mi paragonò a Majakovskij, e mi incoraggiò pure, e neanche si trattava di un testo stampato, era solo una traduzione… anzi no, mi sbaglio,
era il testo russo, lui leggeva il russo… dopo, in America, sarebbe stato tradotto in inglese… lui era entusiasta, mi predisse un grande futuro, ricordo che lo andavo a trovare all'Università di Roma…
— Che anno era?
— Era il millenovecentosettanta… in ogni caso io ho vissuto in Italia dal novembre
del 1974 al 18 febbraio del 1975. Siamo partiti dall'Italia proprio nel giorno in cui Mara Cagol, se non sbaglio, ha liberato Renato Curcio, suo marito, dalla prigione, e all'inizio non ci facevano partire, noi dovevamo andare in America con un aereo della
Pan American e ci hanno fatto… hanno tirato fuori dall'aereo tutte le valige, le hanno messe sul campo di aviazione e ci hanno costretto a identificarle, questo me lo ricordo bene, e le mie valigie scoppiavano di libri, erano pesantissime, e le hanno
forzate e ci hanno guardato dentro per controllarne il contenuto.
Mi ricordo che una volta Ripellino mi aveva invitato a largii visita all'Università, e quando ero arrivato c'era una vera e propria battaglia fra studenti e polizia, con tanto di lacrimogeni. In generale l'Italia di quel periodo era tutta in subbuglio, in giro si vedevano folle con le bandiere rosse e tutto questo mi piaceva, glielo confesso, poiché il mio temperamento è proprio questo. E lì… era il momento di maggiore attività dei terroristi di destra e di sinistra, delle Brigate rosse, e di altri gruppi come Prima linea, ricordo quell'atmosfera, non avevo voglia di andarmene dall'Italia, ma purtroppo fui costretto a farlo, perché l'Europa ufficialmente non dava asilo agli esuli politici russi, lo facevano solo l'America e il Canada, perciò dovetti partire. Ma i ricordi dell'Italia sono presenti in molti miei racconti.
— Sì, anche nel Libro dell'acqua…
— Sì, e c'è anche un intero romanzo dedicato
a Venezia: Smert' sovremennych geroev [La morte di eroi del nostro tempo ]. Mi piacerebbe che fosse pubblicato in Italia. Mi sembra che offra un bel ritratto di Venezia…
Questa intervista di Marco Dinelli con Eduard Limonov é del anno 2005.
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http://carnagenews.com/trionfo-metafisica-prigione-spazio/
È il racconto in prima persona di Eduard Savenko, in arte Limonov, scrittore e
dissidente politico russo, nella prigione della Lubjianka. Si tratta di una narrazione che corre in parallelo ai suoi pensieri, come se gli eventi non fossero che un pretesto per mostrare le proprie convinzioni filosofico-umanistico-politiche sulla realtà
e su ciò che ci muove come individui, in attesa della nostra individuale redenzione.
È difficile liberarsi dall’immagine mentale che gli altri si sono fatti di noi o, peggio, far cambiare loro idea. Sembra un processo quasi automatico, una volta innescato, potenzialmente irreversibile, se non a caro prezzo o con altissimi sforzi. Ma per chi ha fatto del nascondimento di se stesso una maschera così veritiera da non poterla più distinguere dal volto reale, questo meccanismo non è un ingombro, bensì un’arma.
Basti pensare a Eduard Savenko, ma forse voi lo conoscete meglio come Limonov, fortunato protagonista di un omonimo libro di Emanuel Carrere (Adelphi, 356 pp, 2012 , 19€). Nel romanzo suddetto viene tratteggiata (perché spiegarla proprio non si può) la vita di questo scrittore russo, nato a Charkov (Ucraina) nel 1942 e poi fuggito dalla madrepatria per tornarci dopo una vita rocambolesca attraverso Francia, America e Jugoslavia.
Sicuramente una delle figure più interessanti, sebbene contraddittorie, del panorama politico russo, avendo egli fondato il Nazbol, il partito nazional-bolscevico (un po’ come dire il partito fascista-comunista) ed essendo stato, proprio a causa del suo attivismo anti-Putin, incarcerato alla Lubjianka.
È “Il trionfo della metafisica” (Eduard Limonov, Salani, 244 pp, 2013, 16€), e non le pagine eroiche di Carrere, il suo (vero?) racconto della propria esperienza dentro al più terribile carcere di Mosca.
“Chissà chi altri, oltre a me, sa che le sedie che ci sono qui alla Lubjianka stanno anche dentro al più grande albergo di lusso oltreoceano?” Con questo interrogativo Eduard Savenko, in arte Limonov, trasferisce tutta la sua esperienza di giramondo all’interno della situazione più repressiva che esista. Perché istituisce un collegamento tra il mondo esterno e quello racchiuso tra quelle mura, le più impenetrabili di tutta la Russia, dove nessuno sa cosa accada, se non chi c’è finito dentro.
Se si ha avuto poi la fortuna, o il coraggio, la tenacia, la perseveranza, di uscirne vivi e abbastanza sani di mente, come si può non raccontare cosa si è visto, come si è vissuto? Per chi ha fatto della verità e della ribellione il proprio baluardo, c’è una sola, ovvia risposta.
Ecco perché Limonov, già dal suo ingresso, comincia a tenere un proprio Diario. Non tanto per raccontare ciò che accada, quel monotono, ripetitivo susseguirsi di eventi, in cui la sveglia è seguita dall’inizio dei lavori, irreggimentati secondo una rigida gerarchia interna che non prevede sgarri o soprusi, e dal ritorno nella propria cella, quanto per mantenere la propria sanità mentale, darsi uno scopo: scrivere in vista del giorno in cui uscirà, avendo pronto del materiale per il suo prossimo libro.
Tuttavia, pur essendo un ribelle, il modello della narrazione sembra essere quello de “La giornata di Ivan Denisovic” di Solzenicyn (l’autore forse più odiato dallo stesso Limonov), cioè il racconto della divisione giornaliera del lavoro: ogni squadra è assegnata ad un reparto, numerato, con mansioni diverse, difficoltà crescenti e fatiche differenti.
Riporta senza fronzoli un’esperienza straniante, in cui tutti si guardano dal prossimo, divisi in classi sociali e di appartenenza etnica, alcuni senza speranza di un futuro redento, altri rabbiosi in cerca di vendetta.
Ma in carcere la vendetta non paga: o ti scoprono, e allora non esci più, o finisci ammazzato. E chiunque cerchi una terza via non può che trovarla dentro di sé, nella forza che risiede nella propria mente e nell’ostinazione a comportarsi bene, a seguire regole non proprie e, a volte, ottuse.
Non ha Limonov rispetto per l’istituzione della Lubianka perché, come tutto ciò che c’è in Russia oggi, è un contenitore vuoto retto da persone senza coraggio, troppo corrotte per fare la cosa giusta e restituire il potere a chi lo meriterebbe. Ma non per questo si arrende, o abbandona la speranza di farcela.
Si comporta bene, lavora sodo, approfitta della sua ora d’aria per fare qualche esercizio e, al contrario di quanto scrive Carrere, si tiene personalmente lontano dai pericoli, visto che la sua fama non lo protegge né lo fa assurgere ad uno status di asceta, anzi, lo rende solo un bersaglio più facile da colpire.
In questa lontananza dai pericoli Limonov, oltre ad assolvere il suo compito e scontare la propria pena, pensa. Riflette e trasferisce su carta, con linguaggio crudo ma veritiero, ciò che davanti ai suoi occhi si trasferisce nella sua mente.
Sono tappe di avvicinamento alla sua liberazione, alla fine della propria condanna, in cui lo scrittore griderà le proprie idee politiche e criticherà i soprusi fuori e dentro al carcere, guadagnandosi il rispetto dei suoi compagni e di alcune guardie.
Non si arriverà ad un dunque, se non temporale, perché le sue idee continueranno anche fuori dal carcere, così come ci erano entrate e avevano trasformato quella reclusione in una riflessione sull’umanità e le proprie sfaccettature.
Simone Baldi http://carnagenews.com/autori/simone-baldi/
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