2010 - Con 5 altri testi di Limonov.
Parte del libro, tradotto in italiano, in 2010.
RUSSIAN ATTACK - Antologia di racconti russi.
6
testi di Limonov :
- Coca-cola generation & unemployed leader
- La Tana e la Patria
- Russian Psycho
- Accuse contre Putin
- Estraneo e Malvagio
- L'età dei profeti
ESTRANEO E MALVAGIO
Traduzione : Marco Dinelli
La stesura di questo ritratto di
Putin risale al 2000, poco tempo dopo la sua elezione a presidente.
Estraneo
Il capo ideale non è soltanto capo dello Stato,
è il primo uomo della nazione da cui prendere esempio. Josif Stalin, con la sua pipa, i baffi, gli stivali, la giubba di foggia militaresca, con le sue maniere insinuanti, i suoi modi non frettolosi, con la sua forte inflessione georgiana (spesso un’inflessione
nella pronuncia conferisce alle frasi un senso nascosto, capovolto) dava un assetto a tutti i Paesi dell’URSS: li disciplinava e li spaventava stringendoli nella morsa del terrore. Davvero, in un leader tutto è importante, dalla forma delle unghie
ai bottoni, e niente è casuale. Anche se la storia non menziona gli image makers di Mussolini, Stalin o Hitler, in realtà questi grandi caratteri hanno elaborato da soli il proprio stile o, come si dice oggi, la propria immagine.
Erano semplicemente degli originali di natura.
Anche se Eltsin verrà sempre associato dalla Storia alla schiera dei cattivi capi del popolo, aveva comunque un carattere ben riconoscibile, di chiara
derivazione popolare. Il suo comportamento da ubriaco fuori di testa, il suo dispotismo incontrollabile, la sua rudezza di alto dignitario del Partito, visti col senno del poi non erano privi di un certo fascino. Talvolta si sente la mancanza della sua presenza
malefica nell’ambiente asettico del governo di Putin. Dopo aver compiuto l’ultimo atto da despota, quando cioè ha messo uno sconosciuto (Putin) al potere, Eltsin è uscito di scena, e ora starà da qualche parte, in una delle
sue dacie, a gemere e sputacchiare, scatarrare e ubriacarsi. Cosa faccia attualmente non ci è dato saperlo. Putin invece è molto atipico per la Russia. Come se fosse stato sintetizzato in laboratorio. Si ha come l’impressione che sia venuto
al mondo in seguito a un’inseminazione artificiale, da un padre ignoto e una madre fertile. In lui c’è così poco di individuale ma, stranamente, non ha nulla del tipo popolare. Non rappresenta nessuno degli archetipi popolari a noi
conosciuti. È evidente che non si tratta del despota-dignitario del Partito, certamente non è il tipo dell’operaio e, chiaramente, neppure quello del contadino. È stato tenente colonnello ma non assomiglia a un ufficiale. Il tipo
dell’ufficiale era quello incarnato da Lebed’ e Rochlin, Šamanov o Trošev. Putin potrebbe passare per un intellettuale, un professore non universitario, di un istituto tecnico, un insegnante di una materia come la chimica, per esempio.
Ma così com’è, a sé stante, estraneo, tra i professori sarebbe un rinnegato e un reietto. Lo chiamerebbero sicuramente «l’uomo nell’astuccio» oppure «cartasuga» ed eviterebbero di frequentarlo.
Certo, Putin è giunto alla leadership dello Stato per una casualità che ha dell’inaudito. Senza l’ultimo atto di dispotismo incontrollabile di Eltsin,
Putin, così com’è, a sé stante, estraneo, non sarebbe mai stato eletto. La sorte, in questa occasione, gli ha tenuto bordone. Tanto per cominciare, Putin, ufficiale fallito dei servizi segreti all’estero ormai a riposo, è
stato recuperato dal filoccidentale Sobčak, sindaco di San Pietroburgo, che l’ha assunto nel suo staff. E qui Putin ha dimostrato il suo talento di uomo-fermacarte, di uomo-cartellina. Quanto lui adorasse il lavoro d’ufficio lo si è potuto
vedere in seguito, nei primi mesi del suo mandato di primo ministro, quando si è reso accessibile al nostro sguardo quotidiano attraverso la televisione. Lo si è potuto vedere dalla delicatezza con cui teneva la sua cartellina, stretta al fianco
o addirittura al petto. Più tardi la cartellina sarebbe scomparsa, ma a quel punto ci era già tutto chiaro.
Il valore principale di Putin consiste nella sua capacità esecutiva di
burocrate. In Russia, Paese pieno di gente disorganizzata, impulsiva e inaffidabile, i burocrati sono una ricchezza. È questo il motivo per cui dopo il fallimento della carriera di Sobčak Putin è stato immediamente riciclato da Pal Palyč Borodin:
tipi così, con le cartelline, bisogna tenerseli stretti. In più Putin, che non beveva, non fumava e non amava fare la sauna in compagnia di maschi «alcolicizzati», in mezzo a una folla di dirigenti rotti a qualsiasi vizio doveva apparire
come una specie di superuomo. Tramite Borodin Putin è arrivato a Eltsin. Ha cominciato a lavorare per il presidente. E alla fine Eltsin, già vecchio, ha scelto proprio lui, l'uomo-cartella, come erede al trono. Ha scelto il suo esatto opposto
proprio per le qualità che nello stesso Eltsin, il despota incontrollabile, erano totalmente assenti. Così ora siamo governati da un uomo-cartellina, da una specie di scialba segretaria.
Nel
nuovo presidente della Russia si avverte un non so che di femminilmente triste. O, per meglio dire, l’insufficienza della componente maschile. A differenza di Eltsin, vecchio stallone che solo la vodka teneva lontano dalle donne, V.V. Putin è
un tipo completamente asessuato, privo di sensualità. Nonostante le sue frasi minacciose sui terroristi da scovare e far fuori nei cessi, l’impressione che dà è quella di essere timido come una ragazzina. A formare tale impressione,
oltre all’aspetto esile, contribuisce anche la voce. Né ruggiti da macho come quelli di Eltsin o di Lebed’, né, per dire, la vischiosità vellutata di uno Julio Iglesias. Qualunque cosa dica la sua voce è sempre uniforme,
straniata, acuta, priva di emozioni. Soltanto le ripetizioni retoriche (alla Kirienko) e i toni sopra le righe ravvivano un po’ il suo eloquio. Alla televisione Putin non manifesta alcun interesse per le donne. È sterilmente impassibile. Certo,
trattandosi di un capo di Stato non ci si può aspettare che si metta a correr dietro a ogni gonna davanti alle telecamere. Però avrebbe già dovuto da tempo tradire un sorriso particolare o l’indugiare di uno sguardo. Avrebbe dovuto
mostrare un qualche interesse. No, certo, non verso Valentina Matvienko, ma almeno verso qualche avvenente comparsa presente a uno dei tanti ricevimenti, o durante una delle sue sciate. Qualcosa sarebbe dovuto trapelare. L’intimorito Clinton, ancora
oggi, in presenza di una gonnella si ringalluzzisce all’istante, lo si vede dal luccichio del naso e degli occhi, lo si vede dai gesti. A Putin non capita nulla di tutto ciò. Persino gli sci lo entusiasmano più delle donne. L’otto
marzo, trovandosi nella cittadina di Ivanovo, attorniato dai corpi pachidermici di signore benemerite da cento chili l’una, Putin pareva un ragazzino, umanamente toccato dall’attenzione di quelle creature, commosso a tal punto da mettersi a parlare
di una cosa privata come la sua andatura ondeggiante. Ma anche in una scena come quella, nonostante in secondo piano balenassero altre creature, non di cento chili e dotate di un indubbio sex-appeal, non c’era ombra di sesso. Con la sua voce flebile,
col suo essere fuori dal comune, impassibile e incapace di esprimere emozioni (anche quando vorrebbe dare l’impressione di esprimerle), Putin, l’esile biondino, non può certo rappresentare un modello (come lo sono stati invece Mussolini,
Stalin o Churchill per il loro tempo) per la società russa. In Russia gli operai hanno il loro modello, gli intellettuali hanno Javlinskij, e tra i funzionari dello Stato la moda è ancora quella in auge ai tempi del partito comunista: peso di
più di cento chili, completo maschile grigio, monolitico, pancia in fuori, muso più largo delle spalle. I funzionari dello Stato non possono certo trasformarsi in piccoli biondini, esili e graziosi. Sono sicuro che molti di loro guardano Putin
con tristezza malinconica, e pensano (come dice una canzone alla moda):
Il mio superiore non beve e non fuma,
ma sarebbe meglio che bevesse e fumasse.
Sì, sarebbe meglio. Infatti se la popolazione vedesse un qualche vizio maschile di Putin (se fosse per esempio un dongiovanni), vedrebbe anche la sua umanità. Così invece resta irrimediabilmente estraneo. Votandolo, decine di milioni
di elettori hanno dovuto superare la loro repulsione naturale per il «diverso».
Questo fa comprendere quanto mostruoso sia il potere della nostra televisione. In Russia la televisione è
centinaia di volte più potente dell’ortodossia e di tutto il cristianesimo.
Putin non ha abbinato alla propria persona una camicia particolare, una pipa, degli stivali, una pettinatura o
smorfie particolari. Se si parla di qualità caratteristiche, il nuovo leader del Paese ne è assolutamente privo. Gli interni del Cremlino, tutte quelle sedioline poggiate su gambe esili, i sofà e i divanetti gli sono stati lasciati in
eredità da Eltsin, da Pavel Borodin e dall’albanese Behgjet Pacolli. Da coloro cioè che si sono occupati della ristrutturazione degli interni del Cremlino. Putin non manifesta preferenze per cravatte particolari, o per giacche di cotone
invece che di lana. Sterilità totale anche in ciò che si definisce look.
In Russia, in compenso, si stanno facendo progressi nel campo della retorica e della demagogia. Già Eltsin
aveva cominciato a utilizzare, accanto a quella democratica, una fraseologia nazionalistica. «Baby face» Kirienko e suoi «giovani turchi» hanno fatto un passo in avanti in questa direzione dandosi il nome di «Unione delle forze
di destra» e facendo leva sugli «interessi dello Stato». Anche Putin ha continuato a muoversi nella stessa direzione. Il suo partito di governo si chiama «Russia unita», e di recente è stato proprio Putin a ripetere quasi
alla lettera l’appello goebbelsiano «Un solo Paese, un solo popolo». Pur mancando il terzo elemento, «Un solo führer», non è difficile indovinare quali siano i testi fondamentali che l’ufficiale Putin ha letto
in lingua originale durante la sua permanenza nella Repubblica Democratica Tedesca. Lo stile di governo di Putin, basato sulla cronaca televisiva di ogni suo movimento, è mutuato dall’Occidente. Pur vedendolo quotidianamente a cerimonie varie,
inaugurazioni di convegni, visite alle truppe, non lo sentiamo più vicino. Anzi, la cerimonia di insediamento, ambiziosa e ridicola, come una messa in scena allestita dal regista monarchico Nikita Michalkov (e chissà se non sia andata proprio
così) è apparsa come qualcosa di barbaro, di estraneo. Ma anche la cerimonia è la conferma dello stesso processo paradossale: pur restando «riformatore» e pretendendo di definirsi «democratico», ogni nuovo regime
della Federazione Russa non fa che aumentare la dose di demagogia nazionalistica e di gesti connotati in tal senso.
Con la voce impassibile del ragazzino di città cresciuto in una famiglia tranquilla
(ragazzini così fino ai dieci anni li mandano in giro vestiti da bambina) Vladimir Vladimirovič Putin dagli schermi televisivi diffonde quotidianamente banalità patriottiche che ormai persino il giornaleZavtra («Domani»)
si vergogna a pubblicare. Di Putin ce n’è già troppo. Pare che le masse non si pentano ancora di aver eletto a presidente una persona a loro totalmente estranea, a sé stante. Intanto gli affari dello Stato Russo non vanno affatto
bene. Il Paese presto «celebrerà» il primo triste anniversario dell’inizio della seconda guerra cecena, ed è evidente che la Russia, cacciatasi in questo brutto affare di sangue, non ne uscirà tanto facilmente. Per il
resto la condizione del Paese non è diversa da quella sotto Eltsin. La situazione della nostra economia invece dipende dal prezzo del petrolio e di altre fonti energetiche, e dalle facilitazioni concesse dall’Occidente sul pagamento dei nostri
debiti. Putin è stato paragonato a una scatola nera. Cioè sarebbe un enigma. No, V.V. Putin è la persona meno enigmatica della Russia. Putin è l’assenza di una presenza. Un burocrate triste, solo e sterile. Un segretario zelante
provvisto di bloc-notes. Gli servirebbe un superiore di talento.
Il mio superiore non beve e non fuma,
Sarebbe meglio che bevesse e fumasse.
L’aspetto del presidente
Quanto scritto sopra era la trascrizione delle mie impressioni del 2000. Ed ecco quelle del 2005.
Molto basso. Si potrebbe definire un uomo piccolo. Di un colore slavato, nord russo finlandese. Capelli visibilmente fini, cocuzzolo calvo. Il mento è assente. La fisiognomica più grossolana sostiene che l’assenza di mento denota
mancanza di volontà. Non penso che sia sempre così. È evidente che a causa dell’assenza di mento il profilo di Vladimir Vladimirovič non è dei migliori, con il naso in avanti e la fronte e il mento spioventi in direzione opposta.
La bocca larga, il naso di forma allungata. La punta del naso si espande fino ad assumere la forma di un trifoglio. Negli ultimi anni, evidentemente per la stanchezza, ha gli occhi cerchiati.
Tutto il
piccolo corpo di Putin non è convincente né significativo. Famoso per essere uno sportivo, nonostante pratichi il judo e lo sci alpino il presidente ha una visibile pancetta. Le gambe corte. Le spalle strette. Il presidente indossa completi confezionati
con estrema premura, in modo tale che gli rivestano accuratamente il petto. (Nicola I indossava un corsetto che gli schiacciava la pancia. Quando il marchese De Custine scrisse sull’argomento, questo offese l’imperatore più di tutte le accuse
di dispotismo).
Conversando di argomenti per lui spiacevoli, Putin serra la mandibola. All’altezza degli zigomi si vedono affiorare i muscoli contratti della mascella. Il contenuto dei discorsi
del presidente è banale. La voce è uniforme, in essa raramente si avverte un’emozione. Solo una chiarezza monotona, nella voce.
La moglie del presidente è sovrappeso, e ciò
la rende più vecchia e matriarcale. Sembra un’anatra, e il presidente, vicino a lei, più che altro un anatroccolo. È impossibile adorare o amare attivamente la signora Putin come accade con le first lady di alcuni Paesi in cui vige
una forma di governo presidenziale, o come accadeva con Raisa Gorbačeva. È chiaro che non stiamo parlando di Jacqueline Kennedy, e neppure di Laura Bush. Una comune donnetta sovietica con zero charme. Dopo averci riflettuto un po’, devo ammettere
che il presidente ha lo charme del figlio minore, benché adulto, della famiglia. Anche se non è affatto un tipo popolaresco. Eltsin, per quanto ripugnante, senza dubbio lo era.
Un
padre cattivo
Non è poco il tempo che ho perso stando attaccato al televisore per studiare il viso della persona che governa la Russia. È un viso sfuggente, uno sguardo sfuggente
che non desidera incontrare nessun altro sguardo. Uno sguardo che non desidera incontrare i nostri sguardi popolareschi. Appena se ne presenta l’occasione, lui distoglie lo sguardo. Osservatelo anche voi. Forse non è sicuro di sé, oppure
non vuole guardarci. No, non me e voi concretamente, si capisce: la telecamera. Ma la telecamera siamo noi.
Con la medesima attenzione lo ascolto parlare, ascolto il suo eloquio per capire se è
incespicante oppure scorrevole. Scorre in modo uniforme, il più delle volte senza intonazioni particolari. Solo a volte Putin si permette di inciampare in uno slancio emotivo che di solito reprime con abilità. Accade quando si arrabbia, quando
è adirato. È allora che all’altezza degli zigomi si vedono affiorare i muscoli contratti della mascella. Si nota allora ciò che con un’espressione letteraria viene definito «il gioco dei muscoli».
L’impressione che si ricava dalle manifestazioni sopra elencate è insomma quella di una persona fondamentalmente malvagia, che tenta di nascondere il proprio carattere malvagio sotto l’indifferente
e pragmatico brusio dei discorsi, volgendo lo sguardo altrove. Essendo di bassa statura, è possibile che il presidente abbia sempre avuto il problema di apparire importante e che a tal fine abbia elaborato una serie di tecniche. Il suo modo di parlare
pragmatico, veloce e freddo produce un effetto di straniamento, lo isola dagli altri, e anche l’abitudine di evitare gli sguardi altrui persegue lo stesso scopo. Isolandosi, si eleva. Da lui non dobbiamo aspettarci gli scandali alcolici, umilianti per
la Russia, che contraddistinguevano Eltsin, il suo predecessore. Non dobbiamo aspettarci violenti attacchi d’ira in pubblico. Forse davanti alle telecamere non si comporta come Ivan il Terribile, e questo è un bene. Ma, sotto un altro punto di
vista, è pure peggio, se tale comportamento stesse a significare che ha un carattere vendicativo e che i suoi regolamenti di conti con gli altri non avvengono sotto i riflettori, ma dietro le quinte. Non di sua mano, però. Con l’aiuto di
esecutori, di servi a lui fedeli. Con l’aiuto, per esempio, della procura generale, o con quello, per esempio, dei servizi di sicurezza federali o, per esempio, con l’aiuto del ministero della Giustizia, o della Direzione generale degli istituti
di pena, con l’aiuto, per esempio, della commissione elettorale centrale...
L’impassibilità, la mancanza di umanità del presidente Putin si ritorcono talvolta contro di lui,
come nel caso del sottomarino Kursk. In quell’occasione, lo ricorderete, se ne è rimasto nella calda cittadina di Soči, sulla costa del mare del sud. Invece di volare come un proiettile, con un aereo ad alta velocità, verso
le coste del mare di Barents. Se non altro per dovere d’ufficio. E coordinare sul posto il salvataggio dei marinai, impegnarsi almeno in un coraggioso tentativo di salvataggio. Avrebbe dovuto mettersi sulla riva con gli stivali nell’acqua e star
lì a far galoppare i soccorritori. Con stivali di gomma... Avrebbe dovuto sfruttare tutte le proposte giunte dalle nazioni straniere, approfittare di ogni aiuto. E quando, dopo tot giorni, non si sarebbe più potuto far nulla, avrebbe dovuto mettersi
davanti alle telecamere, esausto, con i segni sul viso delle notti insonni, sullo sfondo di quel mare freddo che è diventato la tomba di centodiciotto marinai russi e dire: «Cittadini della Russia, ho fatto tutto il possibile, non ho potuto fare
di più!» Invece l’abbiamo visto abbronzato e tranquillo, con una maglietta polo, sulla costa del mare del sud. È stata la prima volta che ha dimostrato la sua mancanza di umanità. Si è dimostrato indifferente. Poi è
seguita la risposta glaciale, divenuta storica, alla domanda del giornalista americano Larry King: «Che cosa è successo al vostro sottomarinoKursk?» «È affondato» ha comunicato lui candidamente, con un’espressione
dolce e calma sul viso. Non gli è neanche passato per la testa di proclamare il lutto nazionale. Già allora era evidente fino a che punto i suoi connazionali gli fossero indifferenti. Il viso del presidente s’illumina di sorrisi sinceri,
di cordialità e simpatia solo quando lo vediamo incontrarsi con i grandi leader occidentali, con i suoi amici: con Bush, con Berlusconi, con Schröder. È allora che tira fuori il suo fascino. Domanda: perché non si comporta così
con noi, con i cittadini russi? Forse perché ritiene che con noi bisogna essere severi oppure, come minimo, impassibili?
Quando lo vediamo alla televisione, il più delle volte sullo sfondo
compaiono i mobili fuori moda, «alla zarista», del Cremlino. Lui se ne sta seduto sul broccato di ottomane ricamate, dotate di gambe ricurve di legno intagliato, o su sedie dello stesso genere. Quando lo vediamo, la carta da parati e le tende sullo
sfondo hanno tutte il disegno dell’aquila bicipite. L’allusione o il messaggio eloquente è: questi sono gli attributi zaristi del potere del presidente. Ma la Russia è una repubblica dai tempi della rivoluzione del febbraio del 1917!
Oppure sono io a interpretare in modo sbagliato il significato dell’aquila bicipite? Avendo vissuto a lungo in Francia, ricordo che seduto su mobili simili, su ottomane con le gambe ricurve, François Mitterrand ha scontato due mandati presidenziali.
Ma all’interno del palazzo dell’Eliseo, da quanto ho potuto vedere alla televisione, non mi sembra di aver notato corone o linee genealogiche regali. Pal Palyč Borodin, coordinatore della ristrutturazione delle camere presidenziali del Cremlino,
ha evidentemente preso a modello lo stile dell’Eliseo, sede dei presidenti francesi (i mobili della Casa Bianca del presidente americano hanno linee meno curve, le ottomane sono più lineari e più semplici). La mia opinione è: il
presidente della Russia, Paese in cui la quantità dei poveri va da un terzo alla metà della popolazione, non dovrebbe farsi vedere circondato da un arredamento tanto pacchiano nella sua esibizione di una ricchezza d’altri tempi. La mia
opinione è che gli incontri quotidiani di Putin con i ministri seduti sempre allo stesso tavolino minuscolo, che attraverso la televisione vengono mostrati a tutto il Paese, non siano che una goffa messinscena. Che quel tavolo inizialmente sia stato
progettato per giocarci a carte, o per farci poco di più. Non ci sono prove che quel tavolo serva al presidente per lavorare, neanche una: non ci sono carte sparse sopra, né cartelle o cartelline con le pratiche, né computer. Che bisogno
c’è di prendersi gioco della popolazione in un modo così triviale, rappresentando una simulazione di lavoro? Eccolo là, Putin, che con la voce monotona e pragmatica del presidente che sa il fatto suo (nascondendo gli occhi) pone
una domanda a un ministro: «Perché non è stato fatto questo e quest’altro?» Il ministro con la sua cartellina, dopo un colpo di tosse, afferma come da copione: «Quello è già stato fatto, questo e quest’altro
sarà fatto tra una settimana». Il cittadino deve essere soddisfatto. Il presidente è sobrio, il lavoro va avanti. Il ministro tossisce, si vede la cartellina che contiene le pratiche. O forse dei vecchi giornali?
Come dovrebbe essere, secondo il nostro presidente, il governante ideale? Sarei curioso, molto curioso di saperlo. È chiaro che non si tratta dello sgobbone con una giacca qualunque, magari non una giacca con le toppe
ma poco ci manca, le cartelle con le pratiche che occupano tutta la scrivania e che invadendo pure le ottomane finiscono col farle crollare sotto il loro peso. Il cui computer, gonfio di megabyte, non riesce a contenere tutti i documenti del presidente. È
chiaro che l’ideale di Putin non è Lenin che lavorava fino ad avere il cervello in fiamme, che dettava a tre dattilografe contemporaneamente tra le nubi del fumo che operai e deputati dei soldati sbuffavano fuori. Nel 1990-91 molti membri di primo
piano del PCUS hanno preso bruscamente le distanze da Lenin come il diavolo dall’acquasanta, interi battaglioni e reggimenti di funzionari del partito hanno sbattuto la tessera sul tavolo. Dal 1990 il tenente colonnello a riposo del KGB Putin ha lavorato
per Sobčak, suo ex professore dell’Università statale di Leningrado, in quanto persona che di Sobčak condivideva pienamente le idee. Perciò l’ideale di Putin non è certo Lenin, Sobčak non avrebbe accolto una persona con ideali
simili. Capire l’ideale politico del presidente è possibile attraverso il suo gusto estetico, manifestatosi soprattutto durante le due cerimonie di insediamento. Ho già scritto in dettaglio delle cerimonie nel capitolo «A quanto pare,
Lei crede di essere uno zar». Il suo modello estetico si rifà all’autocrazia della Russia zarista, l’ideologia del nostro Paese prima del 1917. Ed è sempre all’autocrazia, anche come modello politico, che si è rivolto
Putin una volta diventato il signor presidente della Federazione Russa. Coscientemente e incoscientemente. Più incoscientemente, quasi per un richiamo del sangue, della tradizione. Del resto qui da noi ogni poliziotto di quartiere, ogni agente messo
a piantonare le strade, che in cambio di tangenti offre protezione ai chioschi vicino alle stazioni della metro, si comporta da autocrate... Tornerò ancora sull’autocrazia, vi chiedo soltanto di comprendere e accogliere le mie osservazioni sul
governante della Russia. È importante.
Cito un passo del New York Times. Il quotidiano dà il resoconto di una conferenza stampa del presidente russo :
Anche quando Putin parlava con calma e quasi con dolcezza, le sue dichiarazioni erano esplicitamente dure... Mentre conversava con qualcuno il suo corpo si comportava come se fosse coinvolto in una sfida.
Quando gli ponevano delle domande, spesso lui si appoggiava allo schienale della sedia, muovendo le spalle o raddrizzando la schiena, come fanno, tra una serie e l’altra, gli atleti che sollevano pesi... Una volta che la domanda era stata posta si curvava
in avanti e, trasferendo il peso del corpo sugli avambracci, forniva una risposta dettagliata... Le sue dichiarazioni ricordavano lo stile di un operoso micromanager.
Il Washington Post ha
così caratterizzato la stessa conferenza stampa:
Il leader russo ha parlato per tre ore, tra scoppi d’ira e smorfie che gli deformavano il viso quando attaccava coloro che muovono critiche alla
politica russa.
Era irritato, con smorfie sul viso. Nessuno dei giornalisti stranieri ha visto la bontà del presidente. Io non l’ho mai visto buono. O è la sua natura a impedirgli
di essere buono, oppure è lui stesso a ritenere che la sua carica, quella di presidente della Russia, lo obblighi a essere malvagio. La cosa più probabile è che lui non sia buono per natura, e che in più ritenga che uno zar debba
essere severo, pieno d’ira. Il popolo russo adulava lo zar chiamandolo «batjuška», cioè «padre». Nella stessa espressione «zar-batjuška» è implicita una sfumatura di bontà: come il
pane deve essere buono perché dentro deve esserci la mollica che è buona, così il popolo ha sempre sperato nella bontà dello zar. Veniva usata anche l’espressione «zar-sovrano» che compare soprattutto nelle stampe
dell’arte popolare russa (lubok) dedicate a Pietro I. È evidente che Pietro I, malvagio, con i baffi, un padre padrone senza barba non poteva essere per il popolo uno «zar-batjuška». Anche il presidente Putin si comporta
come se fosse nostro padre. Un padre malvagio, esigente, i muscoli facciali che si tendono e si rilassano, le smorfie, gli occhi nascosti. Di tanto in tanto picchia la sua famiglia, è avaro di sorrisi e regali non ne fa. Non ha neanche costruito Pietroburgo;
al contrario, le terre russe le dà via. Ed esige pure che tutti noi corriamo a combattere una guerra che lui ha inventato, e che nelle nostre città ci diamo in pasto ai terroristi. Siccome i ceceni non vogliono far parte della sua famiglia, lui
li trattiene con la forza, con le botte. Vladimir Vladimirovič, signor Presidente, Lei non crederà veramente che con le percosse può costringere i Suoi familiari a vivere insieme a Lei? Senza amore, con le percosse? No, suppongo che Lei non lo
creda. E allora perché costringe un intero Paese a sopportarLa?
Il presidente della Russia, ritenendosi per errore uno zar (Pal Palyč Borodin e Behgjet Pacolli gli hanno piazzato intorno troppe
aquile bicipiti), ci considera i suoi sudditi. Ma noi non siamo i suoi sudditi, e non siamo neanche nell’’800. Siamo i cittadini di un Paese che non è libero, questo sì, però non siamo i sudditi di uno zar-padre malvagio. Ed
è proprio questo che lui tenta di fare: governarci come farebbe uno zar malvagio.
Non c’è dubbio che la persona che si trova a capo dello Stato russo si sia smarrita nel tempo. E,
con lui, tutto il suo esercito di funzionari. I suoi servi, i procuratori e i gendarmi dell’FSB. Il suo Stato ha una struttura zarista. Ricordiamo cosa scrisse Lermontov, dei versi per noi da antologia, ricordiamoli:
Russia, Russia povera,
Paese di schiavi, paese di signori,
E Voi, azzurri uniformi,
E tu, popolo che a loro ubbidisce...*
Non è cambiato nulla. Siamo tornati indietro
nel tempo. C’è tutta questa
folla avida davanti al trono,
boia della libertà, del genio e della gloria.**
Sono tutti
al loro posto. Possiamo fare l’appello.
Le «azzurre uniformi» le indossano i funzionari della procura. Eccoli, questi tutori della legalità, c’è chi pesa tra i centocinquanta
e i duecento chili come Ustinov, Kolesnikov, chi è invece sottile come una tenia come tutti i sostituti procuratori, come Kolmogorov, Birjukov, Šepel’ e come altri che si perdono in lontananza: il corpo dei procuratori, uno più strano
e malato dell’altro. Ustinov (il procuratore generale, il custode principale dell’osservanza delle leggi, che recentemente ha proposto di prendere in ostaggio i parenti di alcuni presunti terroristi) e la sua squadra. Tutti rispondono:
«Comandi! Siamo qui! Pronti a servire!»
«I cosacchi? Dove sono i nostri cosacchi?»
«Comandi»
rispondono gli sbirri, «siamo noi i cosacchi di questo regime. Disperdiamo le manifestazioni del popolo».
«La Terza Sezione, la polizia segreta dello zar, è presente?»
«Eccoci» risponde la cricca del Servizio Federale di Sicurezza. Maestri di provocazioni, attenti ascoltatori e informatori segreti dalle grosse orecchie arroventate.
Si tratta della «Sicurezza Statale», che nel 1991 ha consentito la distruzione dell’URSS e che ora si è specializzata in pestaggi e nella cattura di ragazzi e ragazze membri del Partito nazional-bolscevico. Cavalieri del mantello
e del pugnale, che a suo tempo mi arrestarono con l’accusa di organizzare la separazione del Kazakistan orientale, popolato da russi, dallo Stato del Kazakistan. Pensate un po’, mi hanno accusato del fatto che a tale scopo io avrei acquistato armi
e organizzato formazioni armate clandestine. Pensate un po’, i servizi segreti russi mi hanno arrestato per questo! Se erano convinti della autenticità delle accuse, avrebbero dovuto darmi una medaglia. Com’è che invece
hanno sbattuto me, un patriota, in prigione? E avrebbero voluto lasciarmi dietro le sbarre per sempre, per farmi marcire lì dentro. Le prove però non sono riusciti a fornirle, che disdetta. «La polizia segreta zarista è qui! L’FSB
vigila!»
«E i nostri ochotnorjadcy, i piccoli commercianti che all’inizio del secolo ventesimo perseguitavano ebrei e intellettuali, dove sono?» Sì, quelli
con la pancia (prima avevano anche la barba, ora invece hanno il muso liscio), le forze più reazionarie, oscurantiste della Russia. Prima erano i mercanti, ora sono i deputati.
«Siamo dove
dobbiamo essere, in via Ochotnyj rjad, 2!» rispondono i deputati di «Russia Unita». Sono talmente reazionari che presto vieteranno agli uccelli di volare.
«L’Unione di S.
Michele Arcangelo è presente?» Che oggi esista una cosa del genere sembrerebbe impossibile. Eppure esiste. È l’organizzazione «Nostri», con a capo i fratres Jakemenko con la menzogna nello sguardo, i
cui servizi vengono pagati dallo staff del presidente. Pronti oggi come cento anni fa a rompere il cranio ai nemici del Sovrano. In versione leggermente aggiornata: quelle facce toste si definiscono beffardamente «antifascisti», e chiamano «fascisti»
gli oppositori di Putin.
A prima vista sembra mancare un Rasputin. In compenso c’è la cattedrale di cemento di Cristo Salvatore e c’è il Gran Pope modificato, onnipresente come
Rasputin, il patriarca Aleksij, dove ce n’è e dove non ce n’è bisogno, non manca mai. Si dice che nel 1996, in cambio di cinquecento chili d’oro «regalatigli» per la doratura delle cupole, abbia esortato il suo gregge
a non votare per il comunista Zjuganov. Ci sono preti di rango più basso, culi immensi fasciati da sottane. Che razza di zarismo sarebbe senza oscurantismo clericale? L’arciprete Čaplin è andato a Seliger per partecipare al raduno di «Nostri»,
dove ha dato la sua benedizione ai loro pestaggi. Un rappresentante ufficiale della Chiesa Russa Ortodossa, da un fianco all’altro due metri di larghezza.
I funzionari poi, come i personaggi gogoliani
delle Anime morte, sono immortali ovunque! Brulicano vermi di tutti i tipi: grassi e flemmatici come Mironov del Consiglio della Federazione, magri e isterici come Vešnjakov della Commissione Elettorale Centrale, lustrati come un pianoforte
come Zurabov (sembra sempre che porti non una ma due cravatte, questo Zurabov). Prima c’era pure Počinok, un tipo tutto sbilenco, con un filo di bava all’angolo della bocca, ma non si sa che fine abbia fatto. E poi basti pensare a Stepašin
il criceto... E Dmitrij Kazak o Kozak, la faccia che è una specie di incrocio tra una sega e un’accetta. E questo Gryzlov, il viso pieno di buchi che sembra un colabrodo, come se fosse stato mangiato dalla ruggine. Dio mio! Se ne vedono veramente
di tutti i colori! Le ragazze invece, la ragazze funzionarie, un matriarcato, la Slizka e la Matvienko, i capelli pieni di lacca, pettinate permanentemente come la regina d’Inghilterra! Oh ragazze funzionarie dai possenti fondoschiena di ippopotamo!
Non si è ancora trovato un cantore degno di celebrare la vostra grandezza!
«Siamo qui!» rispondono i funzionari, nascosti dietro il piccolo e malvagio eletto dal popolo, facendo capolino.
Tutti questi difensori del trono sono convinti di rappresentare la Santa Russia che è custode dei sacri principi. Invece sono personaggi del passato, sinistramente sopravvissuti al clima gelido della Russia.
Della Russia satanica.
Il difetto principale dell’autocrazia putiniana non è tanto nella condizione di povertà in cui la popolazione è costretta a vivere. Il regime del gruppo
di Putin non deve essere valutato in base a parametri economici (sebbene esso anche in base a tali parametri appaia penoso), ma in base alla quantità di umiliazioni, di sofferenze, di dolore e di non libertà a cui la popolazione è stata
sottoposta. In base a questi parametri il regime di Putin deve essere condannato in quanto disumano. Ecco il suo difetto peggiore: l’atteggiamento insopportabilmente altezzoso (in vero stile polizia segreta), antidemocratico, incivile, medievale nei
confronti dell’uomo. Il modello dello Stato paternalistico con a capo un padre severo, sua Altezza il Presidente «Padrone» è in realtà il modello dei campi di prigionia russi. Io sono stato detenuto in uno di questi campi, il
n.13, nelle steppe al di là del Volga. Lì la ricompensa per i detenuti obbedienti è non essere picchiati; i disobbedienti, invece, non solo vengono picchiati, ma capita che vengano menomati o uccisi. Nel XXI secolo il modello dello Stato-prigione
non deve più esistere. Stati di questo tipo non sono più accettati, appartengono ormai a un sinistro passato.
Lui ci tratta come se fosse un padre malvagio. Ma lui, di per sé,
com’è?
Non è coraggioso. Al Centro Teatrale Na Dubrovke non si è fatto vedere, a Beslan è andato e tornato in aereo, in segreto, di notte, affinché nessuno,
tranne le autorità locali, lo vedesse, in modo da non incontrarsi, Dio ce ne scampi, faccia a faccia con i parenti degli ostaggi uccisi. Poco prima delle elezioni del 2000 è volato con un caccia in Cecenia a fini di propaganda: è rimasto
all’aeroporto soltanto per qualche ora, ben protetto dagli scudi delle forze dell’ordine. Nei momenti di crisi lui si nasconde, resta al riparo ed esce allo scoperto soltanto dopo che la tempesta è passata.
Non è generoso. È avido. Dalla rapa non si cava sangue. La Russia invece avrebbe bisogno di un presidente buono, buono, fosse anche la prima volta nella storia, un presidente che vada di persona a distribuire
cappotti imbottiti alla gente congelata sui marciapiedi del Sadovoe kol’co. Che conceda un’amnistia ai galeotti ridotti allo stremo delle forze. Che vada di persona nelle case della gente, dei nullatenenti, e ci parli col cuore in mano, e gli dia
dei soldi. I suoi soldi.
Non è nobile. È un anno che tiene in gabbia nove ragazze del Partito nazional-bolscevico perché sono entrate nell’anticamera dell’Amministrazione
del Presidente. Decidesse di liberare almeno le ragazze! Macché! È insensibile e ingiusto.
Ci ha tolto le nostre libertà. Tutte. Se ne è impadronito completamente.
Usa la menzogna come metodo di gestione dello Stato. E lo fa regolarmente, non in via eccezionale.
Usa la forza come metodo di gestione dello Stato. È
un uomo della forza. Con la Costituzione che abbiamo, che concede al presidente diritti veramente illimitati, più diritti di quelli che avevano gli zar russi, le qualità individuali del presidente non sono indifferenti a noi cittadini. Se è
adirato e dà ordine di assaltare il Centro Na Dubrovke utilizzando un gas sconosciuto, saremo noi cittadini e saranno i nostri figli a morire, non quelli di Putin. Se a Beslan ordina l’assalto dopo aver inscenato un’esplosione accidentale
proveniente dall’interno, sono i bambini osetini e russi della Scuola n.1 a morire, non i bambini dei coniugi Putin. La seconda guerra cecena (ho messo insieme vari dati sul numero delle sue vittime e ho calcolato la media) si è portata via, tra
civili, truppe federali e guerriglieri di Maschadov/Basaev, la vita di trentamila persone. Ma il presidente, tranquillo, guarda a questa guerra come a un fenomeno naturale da sfruttare a proprio vantaggio e non prende volutamente alcun provvedimento per mettervi
fine: è un presidente pericoloso. È pericoloso perché ha un solo modo di risolvere le crisi: con la forza. Forse si comporta così perché proviene dai servizi segreti, oppure perché questa è la sua natura, perché
la mamma l’ha fatto così. Non sappiamo perché, ma che sia pericoloso per noi, per il popolo, lo sanno le vedove e i parenti di tutti coloro che sono morti in Cecenia, le madri e i padri di Beslan e i parenti di coloro che sono morti sulla
Dubrovka.
Con ciò che dice, e lui parla molto e volentieri, ogni tanto si può anche essere d’accordo. Ma non con ciò che fa. Tranne forse quando dà dell’avena
al cavallino Vadik. Per il resto è un capo dello Stato pieno d’ira, con tutta probabilità vendicativo, diventato presidente grazie a una nomina. Per governarci ha adottato uno stile paternalistico: è lui a decidere tutto, noi non
decidiamo nulla. Si è scelto il ruolo del padre malvagio, il nostro.
Per capire perché sia pericoloso, immaginatevi trentamila cadaveri posti sull’asfalto della città di Mosca.
Lui non è l’unico colpevole di queste morti. Ma la colpa è anche sua, sua e del suo carattere. I membri del Partito nazional-bolscevico che stanno penando in carcere hanno ragione:
UN
PRESIDENTE COSÌ NON CI SERVE!
[2005]
* Michail Lermontov, Addio, Russia trasandata, 1841. Limonov mutua il primo verso con
quello della poesia di Aleksandr Blok Russia, 1908. (N.d.T.)
** Michail Lermontov, La morte del poeta, 1837. (N.d.T.)